Di fronte a una forma di radicalismo violento d’impatto così immediato come il terrorismo, è normale reagire con sentimenti di paura, incomprensione e assoluto rifiuto. Numerose domande sorgono spontanee nella mente delle persone comuni: Perché degli sconosciuti stanno apportando terrore nella mia vita? Perché questi fenomeni sembrano avvenire sempre più spesso? Per quale motivo i cosiddetti attentatori suicidi uccidono se stessi e altri in nome dell’islam?
Se non si conosce la religione musulmana, vi è quindi il rischio che qualsiasi contatto con essa venga rifiutato a priori, poiché, a causa di una paura individuale spesso fomentata mediaticamente e in ambito politico, vanno a mancare l’interesse e la volontà di addentrarsi in un’analisi più approfondita. Alle legittime questioni che la maggior parte degli occidentali si pone dopo attentati terroristici, vengono date varie risposte, che spaziano dalla semplificazione dell’atto con la sua generalizzazione al singolo musulmano a tentativi di analisi più ampi proposti da alcuni media o esperti del campo.
In questo blog vorrei discutere la teoria del politologo francese Oliver Roy, il quale vede nel radicalismo islamico un’espressione di un problema generazionale proprio alla società occidentale.[1] Egli si distacca dal concetto di radicalizzazione dell’islam, portando avanti l’idea di un’“islamizzazione della radicalità”, secondo cui l’islam funga semplicemente da cornice a un fenomeno moderno di violenza (Mauro 2017).
I giovani jihadisti provengono prevalentemente da Europa e Stati Uniti e appartengono a due categorie principali, la prima comprendente ragazzi di seconda generazione cresciuti in Occidente, l’altra i convertiti. Ciò che accomuna entrambi i gruppi è la rottura con la cultura e religione dei propri genitori e il netto rigetto della società occidentale (cf. Roy 2014: 115 & Roy 2015). Lo schema di rivolta del giovane tipo è sempre lo stesso: un individuo normale, che non è mai stato particolarmente devoto o non hai mai seguito la pratica religiosa dei propri genitori, cambia improvvisamente comportamento diventando religioso, isolandosi, per poi passare all’atto in un tempo relativamente breve (cf. Roy 2014: 115).
La specificità islamica del radicalismo risiederebbe così solo nella causa, cioè nella presenza di cellule fondamentaliste che offrono a giovani senza prospettive la possibilità di esprimere il proprio bisogno di rivalsa (cf. Roy 2014: 115–116). Per Roy (2014: 115), gli atti terroristici sono quindi espressione di un nichilismo generazionale che va al di là delle frontiere religiose. Questo fenomeno è da riportare alla perdita di punti fissi e di valori nella propria vita e al senso di non appartenenza alla propria società, motivi per cui il giovane si rinchiuderebbe nella narrativa jihadista, in cui egli stesso compie l’atto violento ed è glorificato come eroe (cf. Roy 2014: 114–115 & Roy 2008: 7). Ma, ci interpella l’autore, che differenza strutturale c’è tra l’attentato terrorista in nome dell’islam, le sparatorie nelle scuole americane oppure ancora la strage di Anders Breivik in Norvegia? Sono tutte semplicemente varie forme che esprimono uno stesso nichilismo, proprio alla gioventù del mondo occidentale (cf. Roy 2014: 116 & Roy 2015).
L’analisi di Roy mi pare molto stimolante per discutere in modo più conscio il problema della radicalizzazione, un tema in cui luoghi comuni e strumentalizzazioni sono spesso la regola. Da una parte, bisogna sicuramente interrogarsi sulla modalità in cui questi tipi di discorsi vengono diffusi nella società occidentale. Essi sono sovente plasmati attraverso strategie retoriche che alimentano politiche di chiusura, esclusione ed emarginazione. In questo contesto, le analisi di Roy appaiono molto utili per interrogarci sui motivi per cui molti giovani jihadisti siano in realtà figli delle società occidentali. Confrontati con il problema della radicalizzazione dobbiamo così chiederci che responsabilità abbiamo noi in quanto cittadini europei, musulmani e non, a tal riguardo. Perché la maggior parte dei “carnefici” ha vissuto nello stesso paese delle “vittime” e lì vi ritorna per compiere l’atto distruttivo? Che modelli d’integrazione dovremmo rivedere, riformare oppure ampliare? Quali problemi sussistono tra i giovani nella nostra società occidentale?
D’altra parte, ritengo ugualmente importante portare avanti un processo di avvicinamento e conoscenza del mondo musulmano, per discutere insieme delle problematiche effettive di entrambe le parti, con lo scopo di innalzare una voce comune contro ogni forma di violenza ingiustificata.
Fonti
Mauro, Ezio (01.06.2017): Perché i figli d’Europa scelgono l’Isis. Nati in Occidente, scolarizzati pronti a morire per "il vero Islam". Il nuovo libro di Olivier Roy. <http://www.repubblica.it/cultura/2017/06/01/news/ezio_mauro_il_vero_islam_olivier_roy-166974155/>, [21.08.2018].
Roy, Olivier (2008): “Al-Qaeda in the West as a Youth Movement: The Power of a Narrative”. CEPS Policy brief, 168/2008. <https://www.ceps.eu/system/files/book/1698.pdf>, [21.08.2018].
Roy, Olivier (2014): “Al-Qaida et le nihilisme des jeunes”, Esprit 2014/3 (Mars/Avril), p. 112-116.
Roy, Olivier (27.11.2015): “Quella dei jihadisti è una rivolta generazionale e nichilista”. Tradotto da Sparacino, Andrea. <https://www.internazionale.it/opinione/olivier-roy/2015/11/27/islam-giovani-jihad>, [21.08.2018].
[1] È importante menzionare che la teoria di Roy è duramente criticata da altri esperti, in particolare da Gilles Kepel, il quale ritiene fondamentale studiare il fenomeno della radicalizzazione nella sua peculiarità musulmana, attraverso lo studio della lingua araba e tramite ricerche sul campo. Cf. ad es.: <http://www.liberation.fr/debats/2016/03/14/radicalisations-et-islamophobie-le-roi-est-nu_1439535>, [21.08.2018].