Ricordate ancora il mio ultimo post in cui ho parlato della retorica spesso utilizzata nei confronti dell’islam, di come riconoscerla e di come adottare uno sguardo critico nei confronti di determinate argomentazioni? In questo nuovo contributo desidero completare la mia riflessione, presentandovi ulteriori strategie retoriche contestabili, ma spesso adottate all’interno del discorso sull’islam.
Ma dove eravamo rimasti? …All’analisi della citazione di Matteo Salvini, che vi ripresento qui di seguito:
“Il problema dell'Islam è che è una legge, non una religione: nel nome di un Dio impone una legge secondo me incompatibile con i nostri valori, i nostri diritti e le nostre libertà. Io non voglio che in casa mia si insedino persone per cui la donna vale meno dell'uomo, la giustizia islamica prevale sulla giustizia italiana, la libertà di pensiero è limitata da quello che prevede il Corano” (Sky/TG24 2018).
Vi avevo lasciato con un “compito”, cioè quello di cercare altri punti problematici in questo intervento. Vi svelo di seguito la mia “soluzione”.
A mio parere, in questa corta citazione, possiamo individuare ancora due tipologie di discorso sull’islam. La prima problematica è da vedere nel riferimento di Salvini all’islam in quanto “legge” e “non religione”, la quale verrebbe imposta e sarebbe incompatibile con i valori italiani. Da questo passaggio notiamo chiaramente come il premier italiano unisca il lato religioso dell’islam (che arriva addirittura a negare, forse a fini persuasivi) alla dimensione politica. Già qui possiamo notare una presa di posizione netta che non si preoccupa di presentare l’islam adottando una visione differenziata dei molteplici aspetti che lo caratterizzano (cf. Schulze 1991: 10), ma che ne dà una visione negativa e omogeneizzante. Ecco così un terzo argomento ricorrente, che si aggiunge alla lista cominciata nel post precedente:
- La presentazione dell’islam e dei musulmani come incompatibili con l’Occidente dal punto di vista culturale e della civiltà (cf. Hafez 2010: 135), supposizione che viene spesso sostenuta dall’argomento secondo cui l’islam non permetta una separazione tra stato e religione e non abbia raggiunto lo stadio di secolarizzazione e le conquiste derivanti dall’Illuminismo occidentale, o addirittura che rappresenti un pericolo per le stesse (cf. Bielefeldt 22010: 185–188)[1]
È anche bene notare come, sempre nella citazione di Salvini, l’uso degli aggettivi possessivi sia molto efficace da un punto di vista retorico. Sostenere semplicemente che l’islam sia incompatibile con i valori degli italiani ha sicuramente un effetto persuasivo minore del giudicarlo estraneo ai “nostri valori, i nostri diritti e le nostre libertà”. Ripetendo tre volte l’aggettivo “nostro”, Salvini enfatizza l’incompatibilità dell’islam con le conquiste positive che accomunano gli italiani, rappresentati come gruppo omogeneo e ben distinto dall’islam. Che di conquiste si sta parlando, non è direttamente visibile nella lettura superficiale della citazione, ma è molto probabilmente sottointeso. Questi valori, diritti e libertà sono, come detto, solitamente ricondotti al periodo dell’Illuminismo. Il fatto che l’islam sia un pericolo per i valori del proprio gruppo si può leggere anche nell’esternazione di Salvini, secondo cui esso rappresenti una limitazione della libertà di pensiero e una “deviazione” dalla “giustizia italiana”.
Salvini sostiene la sua attitudine esclusiva (islam/musulmani vs. “casa mia”) con alcuni esempi. È qui che troviamo un altro argomento ricorrente, cioè:
- La considerazione delle donne musulmane come aventi meno diritti dei rispettivi uomini e come sottomesse a loro.
Siamo qui confrontati con una generalizzazione. Non solo l’argomento presuppone che tutte le persone musulmane abbiano le stesse opinioni e attitudini, ma fa anche passare implicitamente l’idea che ogni italiano consideri effettivamente la donna come pari all’uomo. Che purtroppo ci sia ancora molto lavoro da fare perché la donna sia trattata allo stesso modo dell’uomo sotto tutti i punti di vista, anche in Italia o nei paesi occidentali, viene però tralasciato (si pensi, per citare un solo esempio, alla disparità salariale).
Per concludere, vorrei fare prima di tutto una precisazione su ciò che ho cercato di trasmettere con i miei ultimi due post. Essi sono stati un tentativo di far capire quanto dei discorsi politici che ci sembrano a prima vista chiari e coerenti possano contenere in realtà numerosi argomenti, espliciti o meno, che hanno lo scopo di giustificare un’attitudine di esclusione e la stigmatizzazione di un determinato gruppo di individui.
La retorica che si nasconde dietro questi argomenti, ricorrenti specialmente tra esponenti di partiti populisti di destra, si basa di fatto sulla semplificazione di fenomeni sociali complessi e, troppo spesso, sull’individuazione di capri espiatori con cui il cittadino medio, che fatica ad arrivare alla fine del mese, può prendersela; siano essi stranieri, migranti o musulmani. Il problema risiede però proprio nel forte impatto che questi discorsi esercitano all’interno della popolazione. Tale effettività risiede certamente nel fatto che questa retorica punta sulle emozioni delle persone, utilizzando argomenti semplici e diretti e donando risposte altrettanto semplici a temi che sono, in realtà, profondamente complessi (cf. Reisigl 2012: 149, che presenta una tipologia di 10 principi della retorica populista, dei quali mi sono appena riferita, tra le righe, a tre).
È molto più facile prendersela con il musulmano che, a causa della conoscenza superficiale che ne ricaviamo dai media, ci fa paura, piuttosto che cercare di conoscere veramente di chi si tratta. Ma è proprio questo secondo processo che dovremmo cercare di fare, proprio per superare gli stereotipi che ci vengono presentati; e magari arrivare a scoprire più similitudini che differenze in una persona che pensiamo a torto essere completamente estranea. Solo in questo modo si può costruire un’opinione personale fondata e contribuire alla formazione di una società in cui vigono il rispetto reciproco e la convivenza pacifica tra esseri umani!
[1] Questo terzo tipo di argomento potrebbe giustamente essere visto come una sottocategoria del secondo punto “Islam in quanto completamente estraneo all’Occidente e quindi non integrabile” (vedi blog precedente). È molto difficile se non impossibile trovare tipologie di argomentazione completamente distinte, poiché esse si completano e si influenzano a vicenda.
[2] Sono consapevole che un tema simile può essere affrontato nel migliore dei modi solo tramite un’analisi scientifica approfondita; ciò è ovviamente impossibile da raggiungere in un blog. Per questo motivo il commento di un solo testo non deve essere visto come riduzionistico, ma come esemplificativo di un fenomeno maggiore e ampiamente analizzato (vedi bibliografia).
Vorrei anche specificare che ho dovuto tralasciare l’analisi del contenuto degli argomenti sotto il punto di vista della loro veridicità o meno, limitandomi a commentarne le problematiche dal punto di vista argomentativo.
Bibliografia
Bielefeldt, Heiner (22010): „Das Islambild in Deutschland. Zum öffentlichen Umgang mit der Angst vor dem Islam“. In: Schneiders, Thorsten Gerald (Hrsg.) (22010): Islamfeindlichkeit. Wenn die Grenzen der Kritik verschwimmen. Wiesbaden: VS Verlag für Sozialwissenschaften. 173–206.
Hafez, Farid (2010): Islamophober Populismus. Moschee- und Minarettbauverbote österreichischer Parlamentsparteien. Wiesbaden: VS Verlag für Sozialwissenschaften.
Reisigl, Martin (2012): „Zur kommunikativen Dimension des Rechtspopulismus“. In: Sir Peter Ustinov Institut (Hrsg.) (2012): Populismus. Herausforderung oder Gefahr für die Demokratie? Wien: new academic press. 141–162.
Schulze, Reinhard (1991): „Vom Anti-Kommunismus zum Anti-Islamismus. Der Kuwait-Krieg als Fortschreibung des Ost-West-Konflikts“. Peripherie. Zeitschrift für Politik und Ökonomie in der Dritten Welt 41/1991. 5–12.